Sara d’Angelo intervista Francesco De Giorgio

Il cinghiale come non lo avete mai visto

Peppo Intervista a Francesco

Queste righe rispondono alla nostra idea di provare a cambiare il paradigma e la narrazione sui cinghiali.

Farli vedere in modo diverso.
Il più possibile simili a come, davvero, essi sono.
Il che è cosa assai difficile perchè i pregiudizi sono, a tal punto, radicati da rendere complesso il loro azzeramento.
Fornire una differente chiave di lettura, vergine, lontana da preconcetti e dall’impalcatura su cui essi si fondano.
La propaganda contro i cinghiali è, da sempre, serrata e scorretta, e negli ultimi tempi, con l’avvento della Peste Suina Africana, tutto è peggiorato.
Precipitato nel buio, in un oscurantismo medievale.
Che sa di caccia alle streghe, di idee bigotte, superficiali, tutt’altro che approfondite.

In questo scenario il cinghiale diventa il nemico, il capro espiatorio.

Al centro di un piano di eradicazione senza precedenti.
Se non facciamo nulla, questi tempi saranno ricordati come quelli in cui l’umanità, impazzita, ha tentato di sterminare i selvatici.
E, noi, abbiamo lasciato che ciò accadesse.

Permettendo che la violenza e l’oscurantismo facessero il loro corso.
Senza opporci con una cultura differente.
Resiliente.
Conflittuale.
Coraggiosa.
Critica
Che pone domande ed esige risposte.
Prendendo le distanze dal pensiero dominante e dall’indifferenza dilagante.

Torniamo a dire, con forza, no a tutto questo.
Ricusiamo una cultura venatoria, retrograda, violenta e patriarcale che è sorella del mondo dell’allevamento
Stessa industria di sangue e sfruttamento.
Stessa politica di dominio
Medesimo sessismo e specismo.
Analogo sguardo sul mondo.
Angusto, distruttivo e arido.
Noi vorremmo cessassero di esistere entrambi, ora.

Così nasce il nostro piccolo contributo di approfondimento.
Riflessione.
Riorganizzazione.
Da mesi portiamo avanti, nell’ambito della rassegna di incontri, Animal People un tavolo di lavoro e studio su questi temi.
Ci confrontiamo.
Cerchiamo di individuare linee guida da seguire, sperimentare, per aiutare attivisti e attiviste ad attivarsi.
Agire e reagire a questo regime di polizia.
A questo uso spropositato di violenza e armi.

Nelle varie assemblee abbiamo valutato di costruire un progetto pilota da cui partire per individuare e suggerire buone pratiche di intervento.
Per poi dar vita ad un modello replicabile in modo da tentare di estendere ed applicare i risultati ad altre realtà ed esperienze.
Abbiamo pensato al Bisagno di Genova e alle comunità di cinghiali che lo abitano.
L’idea era fare una tesi di laurea.
Poi, con e grazie al coinvolgimento di Francesco De Giorgio, il progetto di tesi è diventato quello di uno studio vero e proprio sui cinghiali urbani che vivono nel torrente Bisagno, ricerca in cui Francesco ha interessato e coinvolto anche l‘Università di Innsbruck in Austria, dove è docente ospite.

Questo studio è per noi fondamentale.
Un piccolo guasto o inceppamento negli ingranaggi.
Un contributo scientifico che non potrà essere ignorato o passare sotto silenzio.
Dovrà essere ascoltato.
Non solo nelle piazze, tra la gente.
Ma sposterà la questione negli atenei, nei palazzi, nelle università, nei centri di sapere.
Solo così potremo pensare di cambiare.
Tirando giù barriere e recinzioni che ci impongono tutti i giorni e mai come oggi.
Nel tentativo di separare, addomesticare noi e il selvatico, l’animalità, ogni forma di resistenza e ribellione.

Al centro di un piano di eradicazione senza precedenti.
Se non facciamo nulla, questi tempi saranno ricordati come quelli in cui l’umanità, impazzita, ha tentato di sterminare i selvatici.
E, noi, abbiamo lasciato che ciò accadesse.

Permettendo che la violenza e l’oscurantismo facessero il loro corso.
Senza opporci con una cultura differente.
Resiliente.
Conflittuale.
Coraggiosa.
Critica
Che pone domande ed esige risposte.
Prendendo le distanze dal pensiero dominante e dall’indifferenza dilagante.

Torniamo a dire, con forza, no a tutto questo.
Ricusiamo una cultura venatoria, retrograda, violenta e patriarcale che è sorella del mondo dell’allevamento
Stessa industria di sangue e sfruttamento.
Stessa politica di dominio
Medesimo sessismo e specismo.
Analogo sguardo sul mondo.
Angusto, distruttivo e arido.
Noi vorremmo cessassero di esistere entrambi, ora.

Così nasce il nostro piccolo contributo di approfondimento.
Riflessione.
Riorganizzazione.
Da mesi portiamo avanti, nell’ambito della rassegna di incontri, Animal People un tavolo di lavoro e studio su questi temi.
Ci confrontiamo.
Cerchiamo di individuare linee guida da seguire, sperimentare, per aiutare attivisti e attiviste ad attivarsi.
Agire e reagire a questo regime di polizia.
A questo uso spropositato di violenza e armi.

Nelle varie assemblee abbiamo valutato di costruire un progetto pilota da cui partire per individuare e suggerire buone pratiche di intervento.
Per poi dar vita ad un modello replicabile in modo da tentare di estendere ed applicare i risultati ad altre realtà ed esperienze.
Abbiamo pensato al Bisagno di Genova e alle comunità di cinghiali che lo abitano.
L’idea era fare una tesi di laurea.
Poi, con e grazie al coinvolgimento di Francesco De Giorgio, il progetto di tesi è diventato quello di uno studio vero e proprio sui cinghiali urbani che vivono nel torrente Bisagno, ricerca in cui Francesco ha interessato e coinvolto anche l‘Università di Innsbruck in Austria, dove è docente ospite.

Questo studio è per noi fondamentale.
Un piccolo guasto o inceppamento negli ingranaggi.
Un contributo scientifico che non potrà essere ignorato o passare sotto silenzio.
Dovrà essere ascoltato.
Non solo nelle piazze, tra la gente.
Ma sposterà la questione negli atenei, nei palazzi, nelle università, nei centri di sapere.
Solo così potremo pensare di cambiare.
Tirando giù barriere e recinzioni che ci impongono tutti i giorni e mai come oggi.
Nel tentativo di separare, addomesticare noi e il selvatico, l’animalità, ogni forma di resistenza e ribellione.

cinghiali del bisagno

Per questo, per meglio comprendere di cosa stiamo parlando, facciamo chiacchierata con Francesco de Giorgio, etologo, antispecista, fondatore di Sparta, rifugio in cui ognuno è libero di esprimere la propria animalità..
Attivista a fianco dei cinghiali e dei selvatici, amico delle Titane, delle Omeriche e degli Opliti animali con cui coabita a Sparta.
Studioso dei cinghiali del Bisagno.

Intervista a Francesco De Giorgio

Francesco, cosa ti ha affascinato di questa particolare situazione?
La possibilità che possa lasciar immaginare un possibile modello di coesistenza, di coabitazione, all’interno di una metropoli urbana qual è Genova. 

Cioè spieghiamo alle persone perché il Bisagno e non altrove?
Ovviamente ogni città, ogni luogo, ogni situazione rappresenta un qualcosa di specifico con proprie caratteristiche, criticità, possibilità, ma da qualche parte si deve pur iniziare. In questo senso Genova, con in particolare la situazione di presenza cinghiali, costante da una quindicina di anni, a quanto mi riferiscono gli attivisti di zona, con le caratteristiche architettoniche dell’alveo del Bisagno che permettono una convivenza più cognitiva e pacifica, meno su base reattiva e conflittuale, con anche una crescente predisposizione positiva da parte degli abitanti, con la stabilizzazione di gran parte dei cinghiali e delle loro famiglie presenti, dove i cinghiali di passaggio occasionale rappresentano una parte ma non il totale, è un potenziale modello dove poter sperimentare soluzioni incruente, etiche e sostenibili, ma anche sviluppando attività di educazione all’animalità. 

Cosa ne pensi dell’emergenza sanitaria in corso, relativa alla PSA? Credi che la reazione delle istituzioni sia coerente o spropositata in relazione all’effettiva minaccia? Cosa ne pensi delle ordinanze sulla PSA e dell’emendamento caccia selvaggia?
Per me si deve iniziare eventualmente a parlare di emergenza economica e non sanitaria, ma in realtà neanche di emergenza economica, ma solo di emergenza “allarmi procurati senza giusta causa”. Ormai l’allarmismo ingiustificato sembra essere diventato una caratteristica della nostra società, un qualcosa che però può essere facilmente, esso si, contenuto, attraverso una corretta educazione antispecista al rapporto con gli (altri) animali, indipendentemente se selvatici o domestici, anche perché questo processo in cui molti animali varcano soglie e qualcosa che dura da milioni di anni ed è risibile oltre che tragico, pensare di fermarlo. Quello che si può fare, anche più facile ed etico, è invece imparare a conviverci. In più non si tratta solo di cinghiali, ma di tantissime specie animali che si muovono varcando confini, in quanto inno biologico da sempre. E tutte queste animalità non possono essere messe a rischio a causa di ragionamenti, speculazioni e allarmi specisti, perché, esse si, la loro vita, la loro etologia, la loro biologia, rappresenta un fondamentale principio di biodiversità 

Come sta reagendo la popolazione allo studio?
Questo è un aspetto importante a mio parere. Nel tempo che sto trascorrendo nell’area del Bisagno sto notando molto questo aspetto etnografico, vedo molti cittadini, chi più chi meno, a soffermarsi a guardare in basso i cinghiali, non solo per fare foto, ma per capire se stanno bene, oppure hanno un atteggiamento neutro, che fa capire che ormai si è sviluppata una consuetudine nell’essere parte di questo fenomeno. La parte critica è il momento in cui qualche cittadino, o per troppo amore o per comodo, butta cibo ai cinghiali. Questo, oltre ad essere un comportamento vietato, rappresenta una serie di problematiche per i cinghiali: la prima è che il tipo di alimento che si lancia ai cinghiali (in genere pane), è inadatto e può essere letale; secondo crea situazioni conflittuali tra i cinghiali stessi e crea i presupposti di possibili comportamenti reattivi, qualora i cinghiali si trovassero a stretta interazione con gli umani; terzo, il cibo è l’ultimo dei problemi per i cinghiali, pur in un contesto come il Bisagno dove loro trovano tutto il necessario per nutrirsi in modo bilanciato e dinamico, eventualmente anche scegliendo di tornare a monte in alcuni periodi.

Pensi che in un futuro potremmo ripensare alle città come luoghi fluidi di scambio e contaminazione tra selvatici e umani?
Non rappresenta un’opzione, una scelta o un auspicio, dobbiamo farlo per forza, in quanto il fenomeno coesistenza è ineluttabile. Quello che possiamo e dobbiamo fare è invece sviluppare modelli di coabitazione, attraverso lo sviluppo di architetture che facilitino questo processo, attraverso una mente etica e moderna.

Potrebbe, secondo te, aver senso un coinvolgimento di studenti di architettura per accompagnare lo studio con un progetto innovativo architettonico che crei passaggi sicuri per gli altri animali o ripensi gli spazi in modo da integrare civiltà umana e animalità?
Per questo ci vogliono più architetti, ingegneri e altre professionalità formate sul comportamento animale ed è anche questo il senso della ricerca sul Bisagno. Io mi metto a disposizione come relatore esterno nel caso ci fossero studenti di architettura o ingegneria interessati a fare una tesi in questo senso, così come faccio da tanti anni per studenti di altre facoltà. Si chiama futuro.

Hai trovato interesse scientifico sulla ricerca che stai conducendo?
Un’enormità di interesse scientifico, non solo riguardo alle dinamiche di coesistenza tra specie, ma anche riguardo alle caratteristiche intrinseche dei cinghiali stessi, sia in termini di socio-cognizione, sia di uso del territorio, sia come diverse culture che vengono sviluppate da diversi gruppi famigliari.
Per un etologo e per un etnografo animale, uscire dalla stazione di Genova Brignole e trovarsi già in mezzo a questo milieu animale, rappresenta una grande opportunità di studio, oltre che di gioia.

Perché i cinghiali stanno nel Bisagno? Perché arrivano nelle nostre città?
Per un’infinità di ragioni, non solo collegate al cibo, alla sua ricerca, alla fuga dai boschi, ma anche per una cosa che spesso si sottovaluta o nega, che è quella motivazione intrinseca, indipendente da fame, sete, paura, che porta ogni animale ad essere parte dinamica del mondo, esploratore di confini, di nuovi orizzonti, di nuovi ambienti da interrogare e vivere.

Sara Vitadacani Onlus
Francesco De Giorgio
Biologo, etologo, naturalista, negli anni ’80 allievo del prof. Danilo Mainardi, presso l’Università di Parma.
Ora Presidente dell’Associazione Sparta Riserva dell’Animalità, in provincia di Imperia, Francesco De Giorgio si interessa anche di filosofia antispecista. E’ stato fondatore dell’Istituto internazionale di formazione Learning Animals insieme a sua moglie José.
Promuove lo sviluppo di un paradigma di conoscenza, consistente sia nella teoria che nella pratica, all’interno di una lotta di liberazione per l’Animalità, anche umana.
Francesco dedica le sue energie non solo a comprendere e supportare gli animali in difficoltà, ma anche a porre in una luce diversa e all’interno di una prospettiva critica la questione animale, che lui afferma essere la madre di tutte le questioni che opprimono la nostra società e che va affrontata con etica, coscienza, attraverso una nuova matrice culturale che ponga centrale il punto di vista animale.
Da decenni svolge formazione per proprietari, professionisti e volontari che si occupano di animali e animalità, non attraverso un metodo ma attraverso una conoscenza che vada alle origini di un’etologia che abbia una base etica ed antispecista.
Fra i suoi volumi più recenti: Dizionario Italiano/Cavallo (2010), Comprendere il Cavallo (2015), entrambi pubblicati in Italia.
Equus Lost? (2017), pubblicato negli Stati Uniti, Nel nome dell’Animalità (2018), con la traduzione in spagnolo (2019) e in tedesco (2021).
Sara Vitadacani Onlus
Sara d’Angelo
Attivista, fondatrice e Presidente di Vitadacani, responsabile del progetto Porcikomodi e referente della Rete dei Santuari di Animali Liberi.