Vitadacani e il Centro di Recupero Ricci la Ninna

Le Associazioni richiedono un processo per disastro ambientale

news sui mufloni

Le associazioni si oppongono all’archiviazione del caso del muflone del Giglio e chiedono un processo per disastro ambientale ed il sequestro dei mufloni.

Vitadacani, de la Rete dei Santuari di Animali Liberi, ed il Centro di Recupero Ricci la Ninna hanno presentato una richiesta al G.I.P. di Grosseto perché la denuncia nei confronti dell’Ente Parco dell’Arcipelago Toscano, che ad ottobre dell’anno scorso aveva dato il via all’abbattimento dei mufloni del Giglio, non venga archiviata come richiesto dal PM, ma bensì prosegua il suo iter.

Il PM riconosce in Burlando, direttore dell’Ente Parco, e in Sammuri, presidente dello stesso, una condotta corretta, ritenendo sussistano ragioni scientifiche per eradicare i mufloni cui non vengono riconosciute affatto caratteristiche genetiche rilevanti come invece recentemente dimostrato da un importante studio scientifico.

Nell’opposizione all’archiviazione, le associazioni hanno prodotto un documento di 12 pagine contenente dati, analisi e dichiarazioni che confutano le argomentazioni del PM e le dichiarazioni dei due indagati.

Dalla richiesta di archiviazione risulterebbe, infatti, che Sammuri e Burlando avrebbero deciso, di loro pugno, di classificare il muflone del Giglio come specie alloctona invasiva, nonostante non appaia nelle liste delle specie alloctone invasive nazionali e comunitarie.

“In assenza di uno studio che ne dimostri l’invasività, la decisione di eradicare l’animale risulterebbe violare i regolamenti Europei e ministeriali che invece lo richiedono”, spiega l’avvocato David Zanforlini che segue il caso e si è occupato delle denunce.

“Dai documenti del PM risulterebbe che Sammuri avrebbe dichiarato l’esistenza di un tale studio, ma questo, oltre a non esserci mai stato fornito in questi due anni di campagna, nonostante le numerose richieste di accesso agli atti che abbiamo presentato, contraddice una dichiarazione fatta a La Repubblica il 25 marzo 2021, in cui fu proprio Sammuri a sottolineare che non era stato condotto alcuno studio al Giglio per valutare il grado di incidenza del muflone sulle biocenosi e le viticulture dell’isola”, spiega Kim Bizzarri, ricercatore che coordina la campagna ed ha redatto l’opposizione insieme all’avvocato Zanforlini.

“La decisione del parco di classificare il muflone come specie alloctona invasiva contraddirebbe inoltre i suoi stessi studi”, spiega Bizzarri “poiché l’unico studio, di cui siamo a conoscenza, ad essere stato condotto dal Parco sugli impatti del muflone risale al 2009 e fu condotto all’Elba. In linea con la letteratura scientifica, questo studio concluse che il grado di disturbo del muflone sulla vegetazione è minimo, e questo, dunque, minerebbe la decisione del parco di classificare il muflone come ‘specie alloctona invasiva’”, conclude Bizzarri.

Il PM dichiara inoltre che la denuncia sarebbe infondata poiché il progetto prevedeva un approccio di tecniche miste, e non solo l’abbattimento come denunciato dalle associazioni.

“Questo non ci risulta”, dice Sara d’Angelo di Vita da Cani. “Nel progetto LetsGo Giglio è scritto chiaramente, a pagina 46, che l’eradicazione del muflone sarebbe stata per abbattimento e che qualche traslocazione sarebbe stata concessa qualora le associazioni animaliste avessero iniziato a protestare”, spiega d’Angelo.

“Le prime traslocazioni avvennero nella primavera del 2021 a seguito delle nostre ferme opposizioni alle intenzioni del Parco che, il  26 gennaio 2021,  dichiarò in un webinar che a breve avrebbe iniziato ad abbattere i mufloni”, racconta d’Angelo.

“Il Parco poi decise di sospendere gli abbattimenti e di intraprendere sistematicamente le traslocazioni solo a seguito delle nostre proteste e denunce nell’ottobre 2021”, precisa d’Angelo. “La denuncia, dunque, sarebbe più che valida, poiché il progetto originariamente prevedeva l’eradicazione del muflone esclusivamente tramite abbattimento.”

“Chiediamo dunque al G.I.P. di non archiviare le denunce ma di proseguire invece con le indagini nominando un consulente di ufficio che confermi la unicità genetica degli esemplari presenti sull’Isola del Giglio”, spiega Zanforlini. “Il pericolo di estinguere un’altra singolarità genetica ci impone di non lasciare niente al caso, come è contemplato dalla nostra Costituzione che prevede fra i principi fondamentali l’obbligo di tutelare le biodiversità nell’interesse delle generazioni future. Si tratta di una frase piena di significato che ci obbliga ad un comportamento responsabile nella gestione del mondo che ci circonda a che ci investe del dovere di essere i guardiani di ciò che definiamo Ambiente”, spiega l’avvocato.

“Il PM sembra inoltre aver ignorato la nostra ultima denuncia nei confronti di Sammuri per Disastro Ambientale e che venisse disposto il sequestro dei mufloni prima della loro estinzione a causa delle sterilizzazioni o degli abbattimenti”, dice Massimo Vacchetta del Centro di Recupero Ricci la Ninna.

“Nel mese di agosto, la prestigiosa rivista scientifica Diversity ha pubblicato uno studio condotto da un consorzio di università ed istituti di ricerca italiani e francesi dal quale è emerso come il muflone del Giglio presenti un DNA purissimo, oramai perso in Sardegna, Corsica e Cipro dove la presenza di pecore domestiche ha purtroppo dato vita a degli incroci che hanno depauperato il patrimonio genetico dei mufloni in queste isole”, spiega Vacchetta. “Il muflone del Giglio dunque non solo non dev’essere eradicato dall’isola, ma deve essere preservato, esattamente come è avvenuto per la Lepre Bruna di Pianosa (che il parco inizialmente voleva eradicare fino a che degli studi non ne hanno rivelato l’unicità genetica)”, chiede Vacchetta.

“Il caso non può e non deve essere archiviato. L’eradicazione del muflone del Giglio con i suoi costi esorbitanti (quasi 400.000 Euro di soldi pubblici per sparare a 40 pecore selvatiche), l’assenza di prove scientifiche, la mancanza di trasparenza e di inclusione delle associazioni, è diventato il simbolo di una politica ambientale malsana e anacronistica in cui non ci riconosciamo e non vogliamo finanziare con i nostri fondi pubblici” conclude d’Angelo.

Sara Vitadacani Onlus
Sara d’Angelo
Attivista, fondatrice e Presidente di Vitadacani, responsabile del progetto Porcikomodi e referente della Rete dei Santuari di Animali Liberi.